La vendita con riserva di proprietà – indice:
- Cos’è
- Come funziona
- Aspetti formali
- Opponibilità ai terzi
- Compratore inadempiente
- Risoluzione del contratto
- Vendita e mutuo
La vendita con riserva di proprietà è un tipo di compravendita speciale. Rientrano in tale fattispecie tutte le circostanze in cui la disciplina della vendita si discosti leggermente da quella ordinaria e ha una regolamentazione specifica. Le norme regolatrici sono gli articoli 1523 e seguenti del codice civile.
Cos’è la vendita con riserva di proprietà
La vendita con riserva di proprietà viene altrimenti definita “con patto di riservato dominio”. È un istituto che consente a chi non è in grado di pagare il prezzo di un bene di consumo o di uno strumento di produzione per intero al momento della consegna di acquistarlo e goderne fin da subito con pagamento rateale. Conferisce dunque un notevole vantaggio al compratore, ma non solo a quest’ultimo. Il venditore infatti si riserva la proprietà dell’oggetto fino al pagamento dell’ultima rata di acquisto. Ha la possibilità in questo modo di tutelarsi dal rischio di eventuali inadempimenti o illeciti posti in essere dal compratore. L’istituto dunque si attua in una forma di finanziamento volta ad incentivare gli affari ed è molto utilizzata nel mercato immobiliare.
Richiamando il noto articolo 1376 del codice civile sul contratto con effetti reali, l’effetto traslativo della vendita viene subordinato al pagamento dell’ultima rata, sulla base di un accordo orientato in tal senso.
Come funziona la vendita con riserva di proprietà
L’articolo 1523 del codice civile afferma che: “Nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna“.
Facciamo chiarezza sulle posizioni del compratore e del venditore.
Nella figura del compratore si stanziano posizioni reali soggettive: il diritto a godere del bene in acquisto e l‘aspettativa di diventarne proprietario. Quest’ultima in particolare consente di opporre l’acquisto finale del bene ad eventuali creditori del compratore. Il compratore può cedere a terzi il suo diritto di godimento e di aspettativa sul bene nonché esercitare le azioni petitorie e aquiliane (risarcimento del danno) nei confronti di terzi che vantino dei diritti sul bene o ne danneggino il godimento. Il compratore si assume il rischio dell’alterazione e del perimento del bene dal momento in cui gli viene consegnato.
Il venditore resta proprietario del bene fino all’ultimazione del pagamento del prezzo e si libera dai rischi di deterioramento e perimento della cosa dal momento della consegna al compratore. In quanto titolare della proprietà ha diritto ad esercitare le azioni petitorie nei confronti dei terzi nonché di intraprendere misure cautelari nei confronti del compratore che metta a rischio, con azioni materiali o provvedimenti giuridici, la restituzione del bene o la sua integrità. La riserva di proprietà inoltre funge da strumento di opposizione nei confronti di terzi.
Aspetti formali
Il pensiero prevalente è che il patto di riservato dominio debba essere contestuale alla conclusione della compravendita. L’eventuale prova della non contestualità del patto rispetto alla vendita è a carico del creditore del compratore e non è desumibile dalla ritardata registrazione del documento rispetto alla conclusione della vendita.
Facciamo un accenno alla trascrizione. La trascrizione della vendita è opportuno sia accompagnata da quella della riserva poiché, in caso contrario, per i terzi la vendita avrebbe l’effetto di immediata traslazione.
Non sono previsti requisiti di forma della riserva.
Il venditore può decidere di rinunciare alla riserva e poi pignorare il bene venduto per riscuotere il prezzo che non è stato pagato a seguito di inadempimento del compratore? La risposta è positiva se è certo che il venditore aveva il potere di trasferire la proprietà del bene al compratore.
Le norme che disciplinano la vendita con riserva di proprietà sono collocate nel codice civile nella sezione dedicata alla vendita di cose mobili. Dottrina e giurisprudenza tuttavia ritengono estendibile la portata della norma anche alla vendita di beni immobili. È certamente applicabile ai beni mobili registrati in quanto richiamati dall’articolo 1524 del codice civile.
Come la riserva di proprietà può essere opposta ai terzi
L’articolo 1524 del codice civile al primo comma recita: “La riserva della proprietà è opponibile ai creditori del compratore, solo se risulta da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento”.
Di fondamentale rilevanza pratica nel regime di opposizione ai terzi è la distinzione tra l’opposizione nei confronti di creditori del venditore e del compratore nonché la natura dei singoli beni alienati.
Se si tratta di beni immobili o mobili registrati l’opposizioni a terzi può aversi solo dopo aver trascritto l’atto. Non rileva la domanda di risoluzione del contratto da parte del venditore trascritta prima dell’opposizione.
Se i beni sono mobili si può opporre la riserva ai creditori solo se questa è messa per iscritto e riporta una data certa precedente al pignoramento o alla dichiarazione di fallimento del compratore. Nei contratti tra imprese l’opponibilità ai terzi è ammessa solo se la riserva è dimostrata dalle fatture dei fornitori con data certa anteriore al pignoramento e registrate nelle scritture contabili.
Il secondo comma dell’articolo 1524 afferma che “Se la vendita ha per oggetto macchine e il prezzo è superiore a euro 15,49, la riserva della proprietà è opponibile anche al terzo acquirente, purché il patto di riservato dominio sia trascritto in apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale nella giurisdizione del quale è collocata la macchina, e questa, quando è acquistata dal terzo, si trovi ancora nel luogo dove la trascrizione è stata eseguita”. Tale disciplina non sembra applicabile all’acquirente in mala fede in mancanza della predetta trascrizione.
Opponibilità dell’aspettativa del compratore all’acquisto della proprietà
Il codice civile non coinvolge nei casi di opposizioni menzionati l’opponibilità dell’aspettativa del venditore all’acquisto della proprietà. L’ultimo comma dell’articolo 73 della legge fallimentare tuttavia risulta interessante sul punto.
Questo infatti afferma che il fallimento del venditore non scioglie il contratto di vendita con riserva di proprietà. Ciò implica che al fallito si sostituisce il curatore e che i creditori non possono soddisfarsi sull’oggetto di vendita. In questo caso si potrebbe opporre ai terzi l’aspettativa di acquisto del compratore in base alle regole di cui agli articoli 2914 e 2915 del codice civile. Lo stesso principio vale per i terzi aventi causa dal venditore.
Quando il compratore è inadempiente
L’articolo 1525 del codice civile contiene una tutela nei confronti del compratore che non paga una rata del contratto. Se la rata non pagata non supera l’ottava parte del prezzo non può essere disposta la risoluzione del contratto nè qualsiasi clausola avente analogo scopo (“nonostante patto contrario”), che in tal caso sarebbe nulla.
Quando invece non viene pagata più di una rata o una rata che supera l’ottava parte del prezzo è rimessa al giudice una valutazione circa la risoluzione della vendita in relazione all’entità dell’inadempimento.
Lo stesso articolo afferma che le clausole che pattuiscono la decadenza del compratore dal beneficio del termine delle rate successive sono nulle, sempre che la rata non superi l’ottava parte del prezzo. Rimango applicabili le regole generali sulla decadenza del termine di cui all’articolo 1186 del codice civile.
Risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà
Il venditore ottiene la risoluzione del contratto quando il compratore è inadempiente, escluse le ipotesi di cui all’articolo 1525 precedentemente analizzato. Quando ciò avviene la norma ci dice che il venditore deve restituire le rate di prezzo incassate. A suo vantaggio ha il diritto di chiedere un compenso proporzionato all’utilizzo del bene nonché il risarcimento del danno se la cosa è stata irregolarmente utilizzata dal compratore o questi ne ha alterato la funzionalità. Questa è la regola fissata dall’articolo 1526 del codice civile.
La circostanza richiamata dal secondo comma dell’articolo 1526 contempla l’ipotesi in cui le parti abbiano inserito una clausola penale nel contratto, a tutela del venditore. Il contenuto di tale clausola attribuisce al venditore il diritto a mantenere le rate di prezzo già pagate in caso di inadempimento del compratore a titolo di indennità risarcitoria. Le norme relative agli effetti della clausola penale sono gli articoli 1382 e 1384 del codice civile. Quest’ultimo prevede la facoltà del giudice di ridurne l’entità se sproporzionata o se adempiuta in parte l’obbligazione. Tale regola è confermata dal secondo comma dell’articolo 1526 che recita come segue: “Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta”.
Il terzo comma dell’articolo in esame estende la disciplina della risoluzione del contratto alla locazione quando questa è regolata allo stesso modo della vendita con riserva di proprietà.
Vendita con riserva di proprietà e mutuo
Quando la vendita con riserva di proprietà coinvolge tre soggetti, ossia un finanziatore, un venditore e l’acquirente si realizzano due contratti fra loro collegati. Si tratta del contratto di mutuo e del contratto di compravendita. In questo caso la disciplina della vendita a rate dev’essere integrata con quella del credito al consumo contenuta nel testo unico in materia bancaria. Questa infatti regola le operazioni di credito al consumo che possono essere di vario genere: dilazione di pagamento, prestito e ogni altra forma di agevolazione finanziaria.
In particolare la normativa bancaria interviene come garante dell’uguaglianza di potere contrattuale tra le parti coinvolte nell’operazione. Il testo unico bancario infatti contiene una serie di norme volte a tutelare il consumatore contro pratiche sleali del finanziatore. Questi, scindendo i rapporti tra consumatore e venditore, potrebbe tentare di eludere la disciplina di cui agli articoli 1525 e 1526 del codice civile.
Fra le norme più rilevanti del testo unico bancario ricordiamo l’articolo 125 quinquies. Nel caso della vendita, il consumatore caduto nell’inadempimento del venditore, può chiedere, dopo l’inutile costituzione in mora del venditore, la risoluzione del contratto di credito al finanziatore. Quest’ultimo dovrà così restituire al consumatore le rate già pagate e gli altri costi posti a suo carico. Il consumatore invece non ha l’obbligo di restituire le somme già pagate al venditore al finanziatore, il quale le ripeterà nei confronti del venditore stesso.