Il verbale di constatazione del notaio – Guida completa
- La competenza del notaio
- La valenza probatoria
- L’efficacia probatoria
- La competenza del notaio
- L’efficacia probatoria delle dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio
La funzione del notaio di raccogliere e verbalizzare dichiarazioni testimoniali rappresenta una questione giuridica di particolare rilevanza e complessità, che si inserisce nel più ampio dibattito sulla legittimità dei verbali di constatazione notarili in assenza di specifiche previsioni legislative.
L’argomento riveste una notevole importanza pratica, soprattutto in considerazione del potenziale valore probatorio che tali dichiarazioni potrebbero assumere in sede giudiziale. Dal punto di vista della professione notarile, poi, la questione risulta particolarmente delicata poiché il notaio si trova a dover bilanciare due principi fondamentali della legge notarile:
- da un lato, l’articolo 27 impone al notaio l’obbligo di prestare il proprio ministero quando richiesto;
- dall’altro, l’articolo 28 vieta espressamente al notaio di ricevere atti proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico.
Questa situazione pone il professionista di fronte a una complessa valutazione, resa ancora più difficile dall’assenza di un quadro normativo specifico che regoli in modo esaustivo la materia.
Cerchiamo allora di comprendere meglio questo argomento in una guida completa sul tema.
La competenza del notaio
L’articolo 1 della legge notarile rappresenta il fondamento normativo essenziale per definire l’ambito di competenza del notaio.
Tuttavia, l’interpretazione di questa norma ha dato origine a un importante dibattito nella comunità giuridica, che persiste ancora oggi: la formulazione del testo ha infatti generato diverse scuole di pensiero riguardo la sua corretta interpretazione e, di conseguenza, sulla precisa definizione dei limiti delle competenze notarili.
Il dibattito dottrinale – che affonda le sue radici in una lunga tradizione giuridica – vede peraltro confrontarsi due orientamenti interpretativi fondamentalmente opposti. Ed è la contrapposizione tra queste due visioni ad avere importanti implicazioni pratiche per l’esercizio della professione notarile.
Il primo orientamento interpreta in modo restrittivo il primo comma dell’articolo, dove si definiscono i notai come “pubblici ufficiali istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito“, in combinazione con l’incipit del secondo comma che recita “ai notai è concessa anche la facoltà di...”.
Secondo questa visione, dunque, il notaio avrebbe una competenza generale solo per gli atti negoziali, mentre per gli atti non negoziali potrebbe intervenire esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge.
L’altro orientamento
Il secondo orientamento propone invece un’interpretazione più ampia, sostenendo che il notaio abbia una competenza generale sia per gli atti negoziali che per quelli non negoziali. Una simile interpretazione si basa peraltro su diversi elementi. Riassumiamoli:
- l’elenco dettagliato contenuto nel secondo comma dell’articolo 1 della legge notarile non sarebbe limitativo, ma servirebbe solo a confermare esplicitamente la competenza notarile anche per gli atti non negoziali;
- l’articolo 1 del Regio Decreto Legge n. 1666 del 1937;
- le disposizioni del Codice Civile, in particolare l’articolo 2699, che collegano la pubblica fede all’atto pubblico, dando per presupposta la competenza notarile invece di definirla.
La seconda interpretazione considera quindi che le norme non mirino tanto a stabilire i limiti della competenza notarile, quanto piuttosto a presupporla come già esistente.
Le conseguenze pratiche
Condividiamo dunque come le due diverse interpretazioni dell’articolo 1 della legge notarile hanno importanti conseguenze pratiche, in particolare per quanto riguarda la competenza del notaio in materia di verbali di constatazione.
Seguendo la prima interpretazione restrittiva, il notaio potrebbe redigere verbali di constatazione esclusivamente nei casi specificamente previsti dalla legge, limitando così significativamente il suo campo d’azione in questo ambito.
La seconda interpretazione, più estensiva, riconosce invece al notaio la facoltà di redigere verbali di constatazione anche in assenza di una specifica disposizione normativa che lo autorizzi. Si tratta pertanto di una visione che amplia notevolmente le possibilità di intervento del notaio in questo campo.
La giurisprudenza, sebbene non recente, si è espressa in modo non uniforme sulla questione, mostrando tuttavia una tendenza a favorire l’interpretazione più estensiva. È significativo notare come questa seconda interpretazione sembri aver trovato un importante riconoscimento anche nelle più recenti scelte del legislatore. Questa impostazione più ampia delle competenze notarili appare dunque oggi prevalente, sia in ambito giurisprudenziale che legislativo.
Le modifiche legislative
Un importante sviluppo normativo a sostegno dell’interpretazione estensiva delle competenze notarili è rappresentato dalla modifica dell’articolo 769 del Codice di Procedura Civile, introdotta dalla legge n. 10 del 17 febbraio 2012. La riforma ha arricchito l’articolo con un nuovo comma, ampliando significativamente il ruolo del notaio nella procedura d’inventario. Il testo attuale dell’articolo stabilisce che:
- l’inventario può essere richiesto al tribunale da coloro che hanno diritto alla rimozione dei sigilli;
- l’esecuzione dell’inventario può essere affidata al cancelliere del tribunale o a un notaio, quest’ultimo può essere designato dal defunto nel testamento o nominato dal tribunale.
La norma prevede inoltre che, in assenza di sigilli, l’inventario possa essere richiesto direttamente al notaio, senza necessità di intervento del tribunale. In questo caso, il notaio può essere:
- quello designato dal defunto nel testamento
- in mancanza di designazione testamentaria, quello scelto liberamente dalla parte interessata.
La modifica legislativa rappresenta dunque un chiaro esempio di come il legislatore abbia voluto ampliare e rafforzare il ruolo del notaio, riconoscendogli competenze dirette anche in ambiti tradizionalmente riservati all’autorità giudiziaria.
La recente innovazione legislativa ha reso più difficile sostenere l’interpretazione restrittiva delle competenze notarili, che limita la previsione generale del primo comma dell’articolo 1 della legge notarile ai soli atti negoziali.
Il nuovo articolo 769 c.p.c.
La considerazione emerge poi con particolare evidenza se si analizza ancora il nuovo articolo 769 del Codice di Procedura Civile. La norma, che ha portata generale in materia di inventari (non limitandosi solo a quelli ereditari), introduce una categoria significativa di inventari che possono essere redatti dal notaio senza necessità di delega dell’autorità giudiziaria.
Tali inventari “diretti” non possono essere ricondotti alla previsione dell’articolo 1, secondo comma, n. 4, lettera b) della legge notarile, che presuppone necessariamente la delega del tribunale. Di conseguenza, il fondamento normativo della competenza notarile per questi atti deve necessariamente essere individuato nella previsione generale del primo comma dell’articolo 1 della legge notarile.
La situazione rafforza significativamente la posizione di chi sostiene l’interpretazione estensiva, secondo cui la competenza notarile include naturalmente anche gli atti non negoziali, come:
- gli inventari volontari
- più in generale, i verbali di constatazione.
In sostanza, l’evoluzione normativa sembra confermare che la funzione notarile non può essere limitata ai soli atti negoziali, ma si estende necessariamente anche agli atti di natura non negoziale.
I cambiamenti rispetto al passato
La situazione attuale è significativamente diversa rispetto al passato. Oggi esistono numerose e inequivocabili situazioni in cui il notaio può redigere inventari senza necessità di delega giudiziaria, con una competenza che non deriva da disposizioni isolate o specifiche, ma trova il suo fondamento in una norma generale del Codice di Procedura Civile dedicata al procedimento di inventario.
Il cambiamento normativo ha importanti conseguenze sull’interpretazione dell’articolo 1 della legge notarile e, di conseguenza, sulla definizione della competenza notarile nel suo complesso.
Alla luce di questa evoluzione legislativa, si può quindi affermare con maggiore certezza che i verbali di constatazione rientrano pienamente nelle competenze del notaio. Una conclusione sostenuta dalla dottrina prevalente, che riconosce al notaio una competenza generale non solo per gli atti negoziali, ma anche per quelli non negoziali.
L’impianto normativo attuale conferma quindi l’interpretazione più ampia delle funzioni notarili, superando definitivamente la visione restrittiva che limitava le competenze del notaio ai soli atti espressamente previsti dalla legge.
La valenza probatoria
Nel più ampio contesto dei verbali di constatazione notarili, emerge una questione particolarmente dibattuta: la possibilità per il notaio di verbalizzare dichiarazioni testimoniali e il loro eventuale valore probatorio in un successivo processo civile.
La questione è particolarmente delicata poiché queste dichiarazioni vengono raccolte in un contesto sostanzialmente diverso da quello processuale ordinario:
- sono rese davanti a un notaio e non a un giudice
- avvengono al di fuori di un procedimento giudiziario
- seguono modalità differenti da quelle previste dal Codice di Procedura Civile
Qualora si ammetta la possibilità per il notaio di raccogliere tali dichiarazioni, si pone l’ulteriore questione del loro valore probatorio nell’ambito di un eventuale successivo processo civile. Su entrambi questi aspetti – sia sulla legittimità della raccolta che sul valore probatorio – la comunità giuridica rimane divisa, con diverse posizioni sia in dottrina che in giurisprudenza.
Come per la più generale questione dei verbali di constatazione, anche su questo specifico aspetto non si è ancora giunti a una posizione unanime.
L’intervento della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha affrontato in passato il tema delle dichiarazioni testimoniali raccolte dal notaio, esprimendo in generale una posizione restrittiva. Secondo questa giurisprudenza, il notaio che raccoglie deposizioni testimoniali preventive violerebbe l’articolo 28 della legge notarile.
Le motivazioni principali di questa posizione sono:
1) La raccolta di tali dichiarazioni sarebbe contraria all’ordine pubblico (violando quindi l’articolo 28, n. 1) per due ragioni fondamentali: tende a cristallizzare con carattere pubblico la verità di fatti che potrebbero essere oggetto di future indagini giudiziarie, e rischia di compromettere la libertà dei testimoni e il regolare svolgimento del processo.
2) Costituirebbe un’indebita interferenza nelle funzioni riservate all’autorità giudiziaria, indipendentemente dal fatto che le dichiarazioni si riferiscano a procedimenti già in corso, controversie non ancora iniziate.
Tuttavia, questa posizione giurisprudenziale presenta alcuni limiti:
- È relativamente datata
- Si basa su un numero limitato di pronunce
- Non è completamente uniforme
In particolare, in una pronuncia più sfumata, la Suprema Corte, pur ribadendo che la competenza ad assumere mezzi di prova destinati al processo è riservata al giudice (anche nei casi urgenti previsti dagli articoli 692 e seguenti del Codice di Procedura Civile), ha riconosciuto che le dichiarazioni giurate rese al notaio potrebbero avere valore indiziario, analogamente a qualsiasi scritto proveniente da terzi estranei al processo.
L’analisi della dottrina
Il dibattito sulla verbalizzazione notarile delle dichiarazioni testimoniali si arricchisce ulteriormente quando si esamina la dottrina, che presenta posizioni ancora più articolate rispetto alla giurisprudenza.
Un aspetto importante da sottolineare è che non esiste una correlazione automatica tra:
- l’accettazione dell’interpretazione estensiva delle competenze notarili
- l’ammissibilità della verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali da parte del notaio
Le posizioni dottrinali si possono schematizzare in due orientamenti principali:
- I sostenitori dell’interpretazione estensiva dell’articolo 1 della legge notarile. Ritengono che la verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali non violi l’articolo 28 della legge notarile, includono questa attività tra le competenze legittime del notaio, e attribuiscono a queste dichiarazioni un valore probatorio limitato, considerandole come semplici indizi o argomenti di prova.
- I sostenitori dell’interpretazione restrittiva dell’articolo 1 della legge notarile si dividono in due sottogruppi. Alcuni ritengono che la verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali violi l’articolo 28 della legge notarile, altri, pur non ravvisando una violazione dell’articolo 28, considerano tale attività sostanzialmente inutile, negando qualsiasi valore probatorio alle dichiarazioni così raccolte.
La varietà di posizioni dottrinali dimostra la complessità della questione e la necessità di un’attenta valutazione delle diverse implicazioni giuridiche.
La complessità del dibattito è ulteriormente evidenziata dal fatto che anche tra i sostenitori dell’interpretazione estensiva dell’articolo 1 della legge notarile, alcuni escludono comunque la possibilità per il notaio di verbalizzare dichiarazioni testimoniali. La posizione si basa principalmente sull’esistenza di norme specifiche considerate ostative, in particolare gli articoli 692 e seguenti del Codice di Procedura Civile in materia di istruzione preventiva.
La peculiarità dimostra come la questione delle dichiarazioni testimoniali presenti caratteristiche distintive rispetto al più ampio tema dei verbali di constatazione. Un elemento particolarmente significativo in questo dibattito è l’evoluzione storica della normativa processuale, in particolare il passaggio dal Codice di Procedura Civile del 1865 a quello del 1940.
Il cambiamento del quadro normativo
Nel quadro normativo del 1865:
- L’assunzione preventiva delle prove era limitata alla sola prova testimoniale (articolo 251)
- Autorevole dottrina sosteneva l’ammissibilità dell’ispezione notarile di un fatto, proprio perché mancava una norma che ne prevedesse l’assunzione preventiva da parte del giudice
Con l’introduzione del Codice di Procedura Civile del 1940:
- L’assunzione preventiva delle prove è stata estesa anche all’accertamento tecnico e all’ispezione giudiziale
- Questo ampliamento ha portato parte della dottrina a conclusioni opposte, escludendo la competenza notarile proprio in ragione dell’esistenza di norme che attribuiscono espressamente queste funzioni al giudice.
L’evoluzione normativa evidenzia dunque come il contesto legislativo abbia influenzato significativamente le interpretazioni dottrinali sulla competenza notarile in materia di verbalizzazione testimoniale.
L’efficacia probatoria
La questione della verbalizzazione notarile delle dichiarazioni testimoniali presenta caratteristiche specifiche che la distinguono dal più ampio tema dei verbali di constatazione. La specificità emerge principalmente dalla presenza degli articoli 692 e seguenti del Codice di Procedura Civile, che secondo la giurisprudenza della Cassazione e una parte minoritaria della dottrina, renderebbero la verbalizzazione notarile di dichiarazioni testimoniali contraria all’ordine pubblico e quindi in violazione dell’articolo 28 della legge notarile.
Un aspetto fondamentale da sottolineare è che:
- Il riconoscimento di una competenza generale del notaio per gli atti non negoziali (inclusi i verbali di constatazione)
- Non è di per sé sufficiente a legittimare la verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali
Il fatto è, dunque, che la specifica questione delle dichiarazioni testimoniali richiede il superamento di un ulteriore ostacolo: la presenza di norme specifiche che, secondo alcune interpretazioni, precluderebbero questa attività al notaio. È significativo che anche alcuni sostenitori dell’interpretazione estensiva delle competenze notarili escludano la possibilità di verbalizzare dichiarazioni testimoniali proprio per la presenza di queste norme.
Una doppia analisi
La questione richiede quindi l’analisi di due aspetti distinti:
- La competenza del notaio: se possa verbalizzare dichiarazioni testimoniali nonostante le norme del Codice di Procedura Civile che riservano al giudice l’assunzione preventiva dei mezzi di prova
- La conformità all’articolo 28 della legge notarile: se tale attività costituisca o meno una violazione di questa norma.
È importante sottolineare che questi due aspetti sono indipendenti: l’eventuale esclusione di questa attività dall’ambito delle competenze notarili non implica automaticamente una violazione dell’articolo 28 della legge notarile, come già evidenziato da parte della dottrina.
La competenza del notaio
È poi fondamentale affrontare innanzitutto la questione della presunta violazione dell’articolo 28 della legge notarile, escludendo che la verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali da parte del notaio possa costituire tale violazione.
L’orientamento della Corte di Cassazione, sebbene risalente nel tempo, presenta criticità significative sotto due aspetti principali:
- La definizione di ordine pubblico proposta
- La presunta usurpazione delle funzioni giudiziarie da parte del notaio
La definizione di ordine pubblico
Per quanto riguarda il primo aspetto, già in passato autorevole dottrina aveva evidenziato un limite concettuale fondamentale, pur sostenendo una visione restrittiva dell’articolo 1 della legge notarile che escludeva la competenza notarile in materia di dichiarazioni testimoniali. Tale dottrina ha sottolineato come sia metodologicamente errato ridurre l’identificazione dei principi dell’ordine pubblico alla mera ricerca delle norme dell’ordinamento positivo. Un simile approccio, infatti, finirebbe per negare sia il concetto teorico che la funzione pratica dell’ordine pubblico stesso.
La critica evidenzia come l’interpretazione della Cassazione risulti eccessivamente riduttiva e non tenga conto della complessità e dell’evoluzione del concetto di ordine pubblico nel nostro ordinamento.
La presunta usurpazione delle funzioni giudiziarie da parte del notaio
Passiamo dunque al secondo profilo. Riguardo alla presunta usurpazione delle funzioni giudiziarie, la dottrina ha sviluppato un’argomentazione articolata partendo da un principio fondamentale: non è corretto considerare contrario all’ordine pubblico ciò che non è espressamente previsto dalla norma positiva.
Da questo presupposto deriva che:
- Un atto non previsto dalla legge notarile non è automaticamente contrario all’ordine pubblico
- Non si può configurare un’usurpazione delle funzioni giudiziarie nel caso della verbalizzazione notarile di dichiarazioni testimoniali
L’usurpazione di funzioni giudiziarie, in senso tecnico, richiederebbe:
- Un’immissione arbitraria nel pubblico ufficio giudiziario
- La volontà di esercitarne le relative funzioni
- Nel caso specifico, che il notaio presentasse i propri atti di istruzione preventiva come espressione di una funzione giudiziaria auto-attribuitasi
Nella realtà, l’attività del notaio è sostanzialmente diversa:
- Non cerca di sostituirsi all’autorità giudiziaria
- Non produce atti che pretendono di avere la stessa valenza di quelli giudiziali
- Si limita a redigere documenti che fungono da surrogati delle prove che il giudice può raccogliere.
L’orientamento giurisprudenziale che considera la verbalizzazione notarile delle dichiarazioni testimoniali come una violazione dell’articolo 28 della legge notarile non appare condivisibile da molti autorevoli studiosi, con una conclusione rafforzata dall’evoluzione più recente sia della dottrina che della giurisprudenza riguardo all’ambito di applicazione dell’articolo 28, tema da sempre oggetto di dibattito.
Le interpretazioni dell’art. 28 legge notarile
Per comprendere meglio la questione e tale presa di posizione, è necessario analizzare le due principali interpretazioni dell’articolo 28 della legge notarile.
Secondo la prima interpretazione, sostenuta da buona parte della dottrina, l’articolo 28 si applicherebbe esclusivamente agli atti negoziali. In questo caso, la questione della verbalizzazione delle dichiarazioni testimoniali si risolverebbe automaticamente, poiché non si tratta di un atto negoziale.
La seconda interpretazione, che estende l’applicazione dell’articolo 28 anche agli atti non negoziali, richiede un’analisi più approfondita. Anche in questo caso, tuttavia, si può escludere la violazione dell’articolo 28, compresa l’eventuale contrarietà all’ordine pubblico, per diverse ragioni.
Se si identifica l’ordine pubblico con la contrarietà alle norme imperative, come sostiene parte della dottrina, non si può riscontrare alcuna violazione poiché non esiste una norma imperativa che vieti espressamente al notaio di verbalizzare dichiarazioni testimoniali. La conclusione rimane valida anche se si interpreta in modo estensivo il concetto di “atti espressamente proibiti dalla legge”, poiché manca sia un orientamento consolidato in tal senso, sia una previsione normativa specifica che si occupi della questione.
Se invece si considera l’ordine pubblico come concetto autonomo rispetto alle norme imperative, distinguendo tra controllo di legittimità e controllo di liceità, ugualmente non si può configurare una violazione. L’articolo 28 richiede infatti che la contrarietà all’ordine pubblico sia “manifesta”, requisito che non può essere soddisfatto nel caso in questione, considerando il quadro normativo, dottrinale e giurisprudenziale esistente.
L’analisi approfondita dimostra dunque come la verbalizzazione notarile delle dichiarazioni testimoniali non possa essere considerata in violazione dell’articolo 28 della legge notarile, indipendentemente dall’interpretazione che si voglia dare a tale norma.
Quando il notaio deve rifiutarsi di ricevere un atto
È dunque importante esaminare l’articolo 28 della legge notarile nella sua interezza, andando oltre la sola questione della contrarietà all’ordine pubblico evidenziata dalla giurisprudenza contestata. In questo senso, emerge un aspetto fondamentale: anche la dottrina che propone un’interpretazione estensiva dell’articolo 28 (includendo diverse forme di invalidità degli atti, non solo la nullità) richiede comunque che il vizio dell’atto sia inequivocabile.
Secondo questa interpretazione, il notaio è tenuto a rifiutare di ricevere un atto ai sensi dell’articolo 28 quando si trova di fronte a:
- un atto espressamente vietato dalla legge
- un atto manifestamente contrario al buon costume o all’ordine pubblico
- un atto che presenta in modo inequivocabile un “disvalore” (totale, parziale, strutturale o funzionale)
L’inequivocabilità del vizio deve essere evidente sia dal punto di vista normativo che da quello fattuale.
Nel caso della verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali, questa inequivocabilità del vizio è chiaramente assente. Infatti:
- non esiste un divieto specifico, anche se non sanzionato con la nullità
- non si può dedurre implicitamente una proibizione da una sanzione di nullità espressa
La conclusione è ancora più evidente se si considera l’orientamento più rigoroso della dottrina, secondo cui l’articolo 28 si applicherebbe esclusivamente ai casi in cui una norma di legge vieti espressamente di ricevere l’atto (come avviene, per esempio, nelle ipotesi previste dall’articolo 1471 del Codice Civile). Secondo questa interpretazione più stretta, sarebbero esclusi i casi in cui è prevista solo la sanzione di nullità o sanzioni meno gravi come l’annullabilità.
L’intervento recente della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha peraltro recentemente chiarito un punto fondamentale: il divieto per il notaio di ricevere atti nulli sussiste solo quando la nullità dell’atto è inequivoca e indiscutibile. L’avverbio “espressamente” utilizzato nell’articolo 28 della legge notarile del 1913 deve essere interpretato come “inequivocabilmente”. Significa cioè che il divieto si applica solo quando il contrasto tra l’atto e la legge emerge in modo inequivoco, anche se la nullità deriva indirettamente attraverso l’articolo 1418, primo comma, del Codice Civile, sulla base di un orientamento interpretativo consolidato in giurisprudenza o dottrina.
L’interpretazione porta a una conclusione importante: qualunque sia l’impostazione adottata riguardo all’articolo 28 della legge notarile, appare evidente che questa norma non può applicarsi alla verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali da parte del notaio.
Anzi, l’attività notarile di formazione dei verbali di constatazione, inclusa la verbalizzazione di dichiarazioni testimoniali, non solo non contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento, ma rappresenta un’importante manifestazione della funzione preventiva del contenzioso propria del ruolo notarile. L’attività serve interessi generali meritevoli di tutela, collegandosi a principi di rango costituzionale quali:
- L’effettività della tutela giurisdizionale
- Il diritto alla prova
- La ragionevole durata del processo
La visione più ampia evidenzia dunque come l’attività di verbalizzazione notarile, lungi dall’essere problematica, rappresenti in realtà uno strumento importante per la realizzazione di principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.
L’efficacia probatoria delle dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio
Se si va oltre l’argomento radicale che esclude l’applicabilità dell’articolo 28 della legge notarile agli atti non negoziali, emerge una motivazione fondamentale per escludere l’applicabilità di questa norma alla verbalizzazione notarile di dichiarazioni testimoniali: l’attività svolta dal notaio è sostanzialmente diversa da quella svolta dal giudice nell’istruzione preventiva.
La distinzione è importante per due ragioni. In primo luogo, dimostra che il notaio non usurpa funzioni riservate all’autorità giudiziaria, poiché svolge un’attività qualitativamente differente. In secondo luogo, questa differenziazione ci aiuta a rispondere a un interrogativo fondamentale: quale valore probatorio possono avere le dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio?
Per rispondere a questa domanda, è necessario prima definire la natura giuridica di queste dichiarazioni verbalizzate. Dobbiamo chiederci se siamo di fronte a una “prova” nel senso tecnico-giuridico del termine e, in caso affermativo, quale tipo di prova rappresentino. L’analisi preliminare è essenziale per comprendere il valore che tali dichiarazioni possono assumere in un eventuale procedimento giudiziario.
La questione è complessa e la sua soluzione dipende sostanzialmente da come si definisce il concetto di prova testimoniale. In particolare, sono due gli elementi cruciali da considerare: la natura “giudiziale” delle dichiarazioni testimoniali e il requisito dell'”oralità”.
Come risolvere la questione
Se consideriamo la natura giudiziale e l’oralità come caratteristiche essenziali e irrinunciabili della prova testimoniale, allora le dichiarazioni verbalizzate dal notaio dovrebbero essere considerate una prova documentale, in quanto mancano questi elementi fondamentali. Le dichiarazioni infatti non vengono rese davanti a un giudice e non mantengono il carattere dell’oralità, essendo cristallizzate in un documento.
Se invece riteniamo che questi elementi non siano indispensabili per configurare una prova testimoniale, potremmo considerare le dichiarazioni verbalizzate dal notaio come una forma particolare di prova testimoniale, seppur in senso ampio. In questa prospettiva, l’essenza della testimonianza risiederebbe nel contenuto della dichiarazione più che nelle modalità della sua acquisizione.
La distinzione non è meramente teorica, ma ha importanti conseguenze pratiche sul valore probatorio che queste dichiarazioni possono assumere in un eventuale procedimento giudiziario.
La prova atipica
Andando oltre le possibili classificazioni generali, è fondamentale evidenziare che le dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio costituiscono una “prova atipica“.
Il concetto di prova atipica è molto ampio e comprende due categorie principali: le prove che non sono previste dai codici e quelle che, pur essendo previste, vengono assunte con modalità diverse da quelle prescritte dalla legge. La casistica delle prove atipiche è estremamente varia e include, per esempio, dichiarazioni scritte di terzi, perizie stragiudiziali, prove raccolte in altri processi, sentenze di altri procedimenti per i fatti in esse accertati, fino alle moderne prove scientifiche come quelle del DNA.
Nel caso specifico delle dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio, siamo di fronte a una situazione particolare: si tratta di dichiarazioni di terzi contenute in un documento che non rientra nelle categorie tradizionali di prova documentale (come l’atto pubblico o la scrittura privata) e che sono state acquisite con modalità diverse da quelle previste dal codice di procedura civile.
La peculiarità impedisce di considerare tali dichiarazioni come una testimonianza nel senso tradizionale del termine. E questo vale sia rispetto alla testimonianza orale classica, sia rispetto alla più recente testimonianza scritta, introdotta dalla legge n. 69 del 2009.
È importante notare che, sebbene l’introduzione della testimonianza scritta abbia modificato il rapporto tra prova testimoniale e prove atipiche, questo non significa che una dichiarazione di un terzo contenuta in un documento perda automaticamente il suo carattere di atipicità, anche quando questa dichiarazione viene raccolta da un pubblico ufficiale come il notaio.
La riforma della l.n. 69/2009
La riforma introdotta dalla legge n. 69 del 2009 ha portato importanti novità in tema di testimonianza scritta, ma non ha modificato la natura atipica delle dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio. È importante comprendere il perché di questa distinzione.
Con la riforma del 2009, la testimonianza scritta è diventata una modalità “tipica” di acquisizione della prova, ma solo quando viene assunta secondo le precise modalità stabilite dagli articoli 257-bis e 103-bis del Codice di Procedura Civile. Gli articoli prevedono una procedura specifica che richiede:
- l’esistenza di un processo già in corso
- un provvedimento del giudice che autorizza la testimonianza scritta
- la definizione precisa dei punti su cui il testimone deve rispondere
- l’utilizzo di un modello specifico per la testimonianza
Quando la testimonianza scritta viene raccolta in modo diverso da quanto previsto da queste norme, come nel caso della verbalizzazione notarile, mantiene il carattere di prova “atipica”. Di conseguenza, non può avere lo stesso valore probatorio di una testimonianza assunta secondo le modalità codificate, sia essa orale o scritta.
La considerazione è particolarmente rilevante per le dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio: poiché vengono raccolte con modalità diverse da quelle previste dalla riforma del 2009, devono essere considerate prove atipiche. Il loro valore probatorio, quindi, dovrà essere valutato secondo i criteri generalmente applicati alle prove atipiche nel nostro ordinamento giuridico.
Nel nostro ordinamento civile, la questione delle prove atipiche presenta notevoli complessità, soprattutto se confrontata con altri sistemi giuridici. A differenza del processo penale, dove esistono norme specifiche in materia, nel processo civile manca una regolamentazione espressa. Il vuoto normativo ha generato una significativa divergenza tra gli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina.
La posizione della giurisprudenza
La posizione della giurisprudenza è generalmente favorevole all’utilizzo delle prove atipiche da parte del giudice civile. L’apertura si basa principalmente su due considerazioni:
- L’assenza di norme che stabiliscano la tassatività delle prove ammesse dalla legge
- Il principio del libero convincimento del giudice
La posizione della dottrina
La dottrina, invece, presenta posizioni più articolate e in genere più caute. Si possono individuare tre orientamenti principali:
Il primo orientamento è decisamente contrario all’ammissibilità delle prove atipiche, ammettendo al massimo un’applicazione analogica limitata delle norme sulle prove tipiche.
Il secondo orientamento, maggioritario, ammette in linea di principio le prove atipiche, basandosi su diversi argomenti:
- Il principio del libero convincimento del giudice
- La presenza dell’indizio tra i mezzi di prova ammessi, che ha natura intrinsecamente atipica
- L’assenza di un elenco tassativo e completo delle prove
- Il diritto alla prova garantito dall’articolo 24 della Costituzione
Tuttavia, questo secondo orientamento subordina l’ammissibilità delle prove atipiche a precise condizioni:
- Il rispetto del principio del contraddittorio, sia nella formazione della prova che nella sua valutazione
- L’impossibilità di sostituire prove già disciplinate dalla legge
- L’impossibilità di utilizzare prove tipiche assunte in modo irregolare (come una testimonianza resa da un soggetto incapace secondo l’articolo 246 del Codice di Procedura Civile)
Le dichiarazioni di terzi contenute in documenti rappresentano un caso particolarmente interessante nel dibattito sulle prove atipiche. Su questo tema, la giurisprudenza ha mostrato significative aperture, nonostante alcune resistenze dottrinali. L’atteggiamento favorevole è particolarmente evidente quando queste dichiarazioni sono raccolte da un pubblico ufficiale, come il notaio, che può fornire maggiori garanzie sull’autenticità e provenienza delle stesse. Un orientamento analogo si riscontra anche per le dichiarazioni sostitutive di atto notorio provenienti da terzi.
Le posizioni sul valore probatorio delle prove atipiche
Riguardo al valore probatorio delle prove atipiche, emergono diverse posizioni.
La giurisprudenza, più aperta all’utilizzo di queste prove, e parte della dottrina tendono ad attribuire loro un valore indiziario. Alcuni studiosi, basandosi sull’articolo 310, terzo comma, del Codice di Procedura Civile, riconoscono invece il valore di argomento di prova. Altri ancora respingono l’idea che la prova atipica sia necessariamente inferiore alle prove tipiche e sostengono che la sua efficacia probatoria debba essere valutata dal giudice secondo il principio del “prudente apprezzamento” previsto dall’articolo 116 del Codice di Procedura Civile.
Applicando questi principi alle dichiarazioni testimoniali verbalizzate dal notaio, possiamo distinguere diverse situazioni.
Nel processo a cognizione piena, seguendo l’orientamento prevalentemente giurisprudenziale, queste dichiarazioni avrebbero un valore probatorio limitato. Tuttavia, la loro valutazione concreta dipende da vari fattori:
- Il dibattito sul valore probatorio degli indizi
- La discussione sull’efficacia degli argomenti di prova
- L’impossibilità di predeterminare il peso specifico dei singoli mezzi di prova rimessi alla valutazione del giudice
Nei processi a cognizione sommaria, come i procedimenti cautelari, queste dichiarazioni potrebbero assumere maggiore rilevanza. In questi contesti, anche la dottrina più restrittiva ammette un uso più ampio delle prove atipiche, considerando la possibilità di acquisire dichiarazioni di scienza di parti e terzi senza i rigidi limiti previsti dai codici. Alcuni studiosi suggeriscono anche l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto dell’affidavit, già presente in altri sistemi giuridici.
Gli aspetti pratici
Per quanto riguarda gli aspetti pratici, il notaio che verbalizza dichiarazioni testimoniali deve seguire le regole proprie dei verbali di constatazione, poiché non si tratta di una vera e propria prova testimoniale. Una diversa conclusione sarebbe possibile solo in caso di riforma della normativa vigente, che prevedesse la possibilità di delegare al notaio l’assunzione di una vera e propria prova testimoniale, nel contraddittorio delle parti, sia durante il processo che in fase preventiva.
La prospettiva di riforma potrebbe rappresentare un’evoluzione significativa del ruolo del notaio nel sistema probatorio, permettendo una maggiore integrazione tra la funzione notarile e quella giurisdizionale, sempre nel rispetto delle rispettive peculiarità e garanzie procedurali.
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